SENTIERO FRANCESCANO ASSISI-GUBBIO

PRIMO CAMMINO DI SAN FRANCESCO

“Il francescanesimo è davvero l’unico movimento religioso cristiano per il quale si possa parlare di una capitale, Assisi, e di un centro, l’Umbria, poiché l’impronta lasciata dal Poverello non si trova così forte se non in questi luoghi dove egli visse e soggiornò a lungo.”

André Vauchez, Francesco d’Assisi, Torino, 2010.


Tale indiscutibile verità, più che per qualsiasi altro luogo, vale per il Sentiero Assisi-Gubbio, lungo il quale si compirono gli eventi che – tra Caprignone, Vallingegno, fondaco degli Spadalonga e lebbrosario di San Lazzaro – portarono alla nascita del “vero Francesco”.


“Quello di San Francesco – da Assisi a Gubbio – fu un cammino di liberazione che portò alla scelta della vita penitenziale, costituita in una rete di nuovi rapporti con Dio, con gli uomini e con tutte le creature”.

P. José Angulo Quilis, Ministro Generale T.O.R., Presidente di turno della Conferenza dei Ministri Generali dei quattro Ordini francescani. Omelia “Ambiente e Pace” rivolta ai partecipanti alla prima Marcia Francescana Internazionale Assisi-Gubbio, promossa da Terra Mater nel 1987, Anno Europeo dell’Ambiente.

I LUOGHI E GLI EVENTI    IMMAGINI E DOCUMENTI

2 – SAN FRANCESCO E I BRIGANTI

Assisi


San Francesco, votato alla povertà, riceve la benedizione del vescovo di Assisi

John Pope-Hennessy, Il Paradiso di Dante miniato da Giovanni di Paolo, Rizzoli, 1993.
Da La Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, Re di Napoli. Foto di Laurence Pordes per la British Library di Londra.

L’inconsueta raffigurazione della spogliazione di San Francesco sullo sfondo del paesaggio umbro, con Assisi a sinistra e Gubbio a destra, descritto da Dante nel Canto XI del Paradiso, sposta visivamente l’Oriente da cui nacque al mondo un sole, dalla fertile costa dell’alto monte Subasio alle falde del colle eletto dal beato Ubaldo, all’ombra del quale – assistendo per la prima volta i lebbrosi – Giovanni di Bernardone divenne Francesco d’Assisi.

Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita né indugia per nessun motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte a tutti. Il vescovo, colpito da tanto coraggio e ammirandone il fervore e la risolutezza d’animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre col suo stesso manto.

Tommaso da Celano, Vita Prima, 15, Fonti Francescane, I, Assisi, 1977.

6. …. Dopo un po’ di tempo, essendosi il padre allontanato dalla patria, sua madre permise che lui, sciolto dalle catene, se ne andasse libero. I cittadini e tutti coloro che lo avevano conosciuto, acclamandolo pazzo e demente, scagliavano contro di lui fango delle strade e pietre. Il servo di Dio, non abbattuto né mutato da alcuna ingiuria, si mostrava sordo a tutto questo. (Quinta lettura). 7. Un giorno, cessata la persecuzione paterna, vestito di stracci, colui che un tempo usava vesti preziose, mentre cantava le lodi al Signore lungo una selva in lingua francese, incappò nei briganti. A questi che chiedevano con animo bellicoso chi mai fosse, disse con fiducia: «Sono l’araldo del gran Re». Percuotendolo con forza lo gettarono in un fosso pieno di neve e gli dissero: «Stai lì, rozzo araldo del Signore!». Una volta che quelli andarono via, scossa la neve di dosso, lieto saltò fuori dal fosso. …. (Sesta lettura)

Tommaso da Celano, Vita del beato padre nostro Francesco, in Jacques Dalarun, La Vita ritrovata del beatissimo Francesco, Milano, 2016.

Francisci virtus, patris indignata furori,
Non modo praedictis omnino renuntiat, immo
Ex eius dono ne quid videatur habere,
Circa se palpat zonamque recingit, et omnes
Exutus vestes etiam femoralia ponit.
Stat sine veste palam nudoque simillimus Adae;
Quae fuit haec virtus? Mundum contemnere, mundo
Reddere se contemptibilem, rerumque suarum
Personaeque suae nullis insistere curis.
Irrisiva pati commenta, relinquere patrem
Terrenum propter caelestem. Tot facienti
Ardua virtuti nomen non sufficit unum?
Admirans tantae virtutis episcopus ausum,
Surgit, et exutum blandis amplectitur ulnis
Et circumponit chlamydem, votisque favorem
Spondet et exsequitur rebus promissa secundis.

Henricus Abrincensis, Legenda S. Francisci versificata, Liber III, 161-166; 174-183, Fontes franciscani, Assisi, 1995.

Dopo questo lo fece convocare presso il vescovo perché alla sua presenza gli restituisse tutto quello che aveva e riconsegnasse nelle sue mani ogni bene. Pronto e allegro, egli si offerse a far questo ancor prima del tempo proposto: si spogliò di tutti gli indumenti che aveva, non trattenendo neppure le mutande, e li restituì al padre. Rimase così completamente nudo alla presenza di tutti, presentandosi come un «esiliato nel mondo». Il vescovo, stupito di tanto fervore in quell’uomo, conobbe che una tal cosa non sarebbe potuta avvenire senza il volere di Dio; e da allora, mostrandosi disposto ad assisterlo con amore paterno, lo accolse tra le sue braccia coprendolo col suo pallio.

Ormai l’uomo di Dio, fatto conforme con la sua nudità a colui che è nudo sulla croce, aveva adempito perfettamente al consiglio di rinunciare a tutte le cose e perciò nessuna cosa terrena, se non la sola carne, lo separava dalla visione di Dio. (Capitolo primo, 9. Francesco compie la rinunzia alla presenza del vescovo.)

Fra Giuliano da Spira, Vita di S. Francesco d’Assisi, in Vita e Ufficio ritmico di S. Francesco d’Assisi, LIEF, Vicenza, 1980.

Portato dal vescovo del luogo,
consegna i suoi beni al padre;
e rimasto nudo si presenta
esule nel mondo.

Giuliano da Spira, Ufficio ritmico di san Francesco, 12, La Letteratura francescana, II, Fondazione Lorenzo Valla, 2005.

Quel padre carnale cercava, poi, di indurre quel figlio di grazia, ormai spogliato del denaro, a presentarsi davanti al vescovo della città, per fargli rinunciare, nelle mani di lui, all’eredità paterna e restituire tutto ciò che aveva. Il vero amatore della povertà accettò prontamente questa proposta.Giunto alla presenza del vescovo, non sopporta indugi o esitazioni, non aspetta né fa parole; ma, immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre. Si scoprì allora che l’uomo di Dio, sotto le vesti delicate, portava sulle carni un cilicio. Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: «Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza». Il vescovo, vedendo questo e ammirando l’uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono com’era, lo ricoprì con il suo stesso pallio. Comandò, poi, ai suoi di dare qualcosa al giovane per ricoprirsi. Gli offrirono appunto il mantello povero e vile di un contadino, servo del vescovo. Egli, ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo.

San Bonaventura da Bagnoregio,
Leggenda maggiore II, 4, Fonti Francescane, I, Assisi, 1977.

Santa Croce


La Barcaccia di Valfabbrica

Alla Barcaccia [Francesco] passò il fiume sopra una chiatta; si lasciò a sinistra il castello di Coccorano e più avanti, a destra, quello di Giomici; risalì verso Biscina. La strada costeggiava, come oggi, il Chiagio. Forse già correva sulla bocca della gente il detto che loda l’incanto di questo paesaggio, fatto di colli, di selve, di rocce.

Alta Biscina, basso Coccorano
Giomici bello, Caresto sovrano

Arnaldo Fortini, Nova vita di San Francesco, Biblioteca Fides, Roma, 1969.

In direzione di Gubbio

Pedro Subercaseaux Errazuriz, St. Francis of Assisi on the Way to Gubbio
Marshall Jones Company, Boston, 1925.


SUR LE CHEMIN DE GUBBIO

FRANÇOIS quitta Assise, n’emportant pour tout bien que le misérable manteau qui le couvrait. Son coeur débordait de joie, parce que, maintenant, il était vraiment, pauvre. En chemin, il rencontra des voleurs qui le maltraitèrent et le renversèrent dans la neige. Mais lui, hereux de souffrir pour le Christ, poursuivit sa route en chantant joyeusement.
On the Way to Gubbio
FRANCIS left Assisi wearing a beggar’s cloak, his only possession, but feeling an immense joy because he was now truly poor. On the road he fell in with robbers by whom he was illtreated and thrown into the snow; but he was glad to suffer for Christ, and went on his way singing happily.

Pedro Subercaseaux Errazuriz – Johannes Joergensen, Saint François d’Assise – St. Francis of Assisi, Marshall Jones Company, Boston, 1925.

CAMINO A GUBBIO

Francisco salió de Asís llevando como único bien un miserable abrigo de mendigo para cubrirse. Su corazón desbordaba de gozo, porque ahora era realmente pobre. En el camino, encontró unos ladrones quienes lo maltrataron y lo arrojaron en la nieve. Pero él, feliz de sufrir por Cristo, prosiguió su ruta, cantando alabanzas al Señor.

Pedro Subercaseaux Errázuriz O.S.B. – Johannes Joergensen, Vida de San Francisco de Asís – Life of Saint Francis of Assisi.Empresa Editora Zig-Zag, Santiago de Chile, 2002.

Der Herold

Franziskus verlieβ Assisi. In dürftiger Kleidung ging er in den nahegelegenen Wald. Dort begegneten ihm Räuber, die ihn fragten, wer er sei. Seine Antwort war: “Ich bin der Herold des groβen Königs.” Die Räuber verlachten den komischen Mann und warfen ihn in eine Schneegrube. Trotz aller Widrigkeiten ging Franziskus weiter. In Gubbio besuchte er einen Freund, der ihm das Kleid eines armen Hirten gab.

P. Karl Kleiner, OFMCap – Pedro Subercaseaux Errázuriz, Franziskus Sein Leben, Kapuziner, München.

Caprignone


San Francesco viene aggredito dai briganti

S. Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, codice 1266 del Museo Francescano di Roma.

Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le lodi di Dio in francese. Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano su di lui, domandandogli brutalmente chi sia. L’uomo di Dio risponde impavido e sicuro: «Sono l’araldo del gran Re; v’interessa questo?». Quelli lo percuotono e lo gettano in una fossa piena di neve, dicendo: «Stattene lì, zotico araldo di Dio!» Ma egli, guardandosi attorno e scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti, balza fuori dalla fossa e, tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore di tutte le cose. [Nota 24. Il fatto avvenne presso Caprignone].

Tommaso da Celano, Vita Prima, 16, Fonti Francescane, I, Assisi, 1977.

Relinquit patriam, mundo mortuus, intrepidus ambulat. Tempore nivis capitur a latronibus et nudus ab eis in nive proicitur.

Thomas de Celano, Legenda ad usum chori, 3, 4-5, Fontes franciscani, Assisi, 1995.

Per nemus incedens Franciscus pectore toto
Gaudet et exsultat: movet exultatio cantum.
Inde resultandi tot agens in pectore causas,
Franciscus lingua Francorum psallere coepit.
Silva sonum geminans latronum perculit aures;
Exsiliunt inopemque vident; spes excidit, et seI
llusos reputant indignanterque requirunt:
«Tu quis es?». Ille refert: «Christi sum praeco; quid ad vos?».
Praeturbata levi flagrat iracundia vento,
Iniciuntque manus in eum nil tale timentem.
Proh! Furum feritas, coram quibus ipse nec insonsNec vacuus cantare potest impune viator!
Immo luit graviter, plenum nive trusus in antrum,
Quod vacuus cecinit. Quid si cecinisset onustus?
In nive Franciscus iacet, illuduntque latrones:
«Ecce, tuus lectus; iaceas ibi, rustice Christi
Praeco: tuum meruit ea lectisternia carmen».
Ille nihil contra; sed, eis abeuntibus, exit
Speluncam tumulumque nivis, quo pene sepultus
Crine tenus latuit. Sed quem divina tuendum
Assumpsit pietas, in eum non proficit hostis;
Excutiensque nives, quibus omni parte globatis
Et vestes omnes et barba comaeque rigebant,
Gaudet se furum sic evanisse furorem;
Amissamque viam repetens et carmem omissum,
Laude Creatoris sinuosa repercutit antra,
Et Christi resonare docet mysteria silvas.

Henricus Abrincensis, Legenda S. Francisci versificata, Liber IV, 20-21; 28-52. Fontes franciscani, Assisi, 1995.

Dopo che fu liberato dalla feroce persecuzione paterna il beato Francesco, osservatore d’una nuova legge di vita, se ne andava un giorno, mezzo vestito, attraverso un bosco, cantando lodi del Signore in lingua francese, quando all’improvviso incappò in alcuni ladroni. Questi gli chiesero brutalmente chi fosse ed egli, senza timore alcuno, rispose profeticamente: «Io sono l’araldo del gran Re! A voi che ve ne importa?». Ma quelli arrabbiati afferrarono il servo di Dio, lo bastonarono e lo gettarono in una fossa piena di neve; poi insultando il futuro pastore del gregge divino, gli dissero: «Stattene lì, villano araldo di Dio!». Quando quei criminali se ne furono andati, egli balzò fuori dalla fossa tutto lieto, e con voce ancora più vigorosa continuò a lodare il Creatore di tutte le cose. (Capitolo secondo, 10. Incontro con i banditi.)

Fra Giuliano da Spira, Vita di S. Francesco d’Assisi, in Vita e Ufficio ritmico di S. Francesco d’Assisi, LIEF,Vicenza, 1980.

Mentre in francese canta
seminudo le Lodi,
fedele alla nuova legge,
nel bosco ai banditi
risponde con profetiche parole:
«Sono colui che annuncia il grande Re».

Gettato nel freddo della neve,
sente: «Resta disteso, villico»,
futuro pastore del gregge.

[Nota. L’episodio è narrato in 1Cel 16,1-3, ma Giuliano si sofferma sulla risposta dei briganti, in cui scorge qualcosa di profetico: Francesco è davvero un rusticus perché sarà pastore di un nuovo gregge.]

Giuliano da Spira, Ufficio ritmico di san Francesco, 14, La Letteratura francescana, II, Fondazione Lorenzo Valla, 2005.

Francesco è gettato in una fossa piena di neve.
San Bonaventura, Legenda Maior, Codice del Convento Cardenal Cisneros di Madrid.
Paoline, Milano, 2006.

D’allora in poi, affrancato dalle catene dei desideri mondani, quello spregiatore del mondo abbandonò la città, e, libero e sicuro, si rifugiò nel segreto della solitudine, per ascoltare, solo e nel silenzio, gli arcani colloqui del cielo.E, mentre se ne andava per una selva, l’uomo di Dio Francesco, e cantava giubilante le lodi di Dio nella lingua di Francia, fu assalito dai briganti, sbucati all’improvviso. Costoro, con intenzioni omicide, gli domandarono chi era. Ma l’uomo di Dio, pieno di fiducia, rispose con espressione profetica: «Io sono l’araldo del gran Re». Quelli, allora, lo percossero e lo gettarono in un fosso pieno di neve, dicendo: «Sta lì, rozzo araldo di Dio». Mentre se ne andavano, Francesco saltò fuori dal fosso e, invaso dalla gioia, continuò a cantare con voce più alta le lodi in onore del Creatore di tutte le cose, facendone riecheggiare le selve.

San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maggiore II, 5, Fonti Francescane, I, Assisi, 1977.

Da allora, spregiatore del mondo, sciolto dalle catene delle bramosie terrestri, abbandonata la città, sicuro e libero andava cantando in mezzo ai boschi lodi al Signore, in lingua francese. Imbattutosi nei briganti, non ebbe paura, l’araldo del Gran Re, e non interruppe la laude: viandante seminudo e spoglio d’ogni cosa, godeva della tribolazione, secondo lo stile degli apostoli.

San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda minore, Lezione VIII, Fonti Francescane, I, Assisi, 1977.

Unde beatus Franciscus dedicit experiendo, scilicet non delectationes sed passiones; unde de ipso potest dici quod dicit Apostolus ad Hebraeos 5 de eius magistro: Didicit ex his quae passus est oboedientiam. Ipse enim, in principio suae conversionis, ludibria et verbera et vincula et carceres et mendicitates per multas angustias didicit, sicut Paulus, ad Philippenses ultimo, didicit in quibus esset sufficiens esse, et quoniam doctrina viri per patientiam noscitur, beatus Franciscus laudandus et imitandus et sic disciplinatus.

Saint Bonaventure, Sermons de diversis, II, 59De S. Patre nostro Francisco, 8, Les Éditions Franciscaines, Paris, 1993.

Viene percosso dai ladroni. Cerca asilo in un monastero.

Cfr. Sermons de diversis, II, 59, 8

Bonaventura, Fonti e paralleli, La leggenda di Francesco, La Letteratura francescana, IV, Fondazione Lorenzo Valla, 2013.

Era l’aprile del 1207, nell’Italia piena di sole. Era il mese in cui san Francesco d’Assisi era stato diseredato e ripudiato da suo padre. Non aveva più niente, non era suo nemmeno l’abito che portava addosso; e tuttavia possedeva qualcosa che nessuno poteva sottrargli, vale a dire l’amore di Dio al quale ora poteva dire “Padre” in un modo del tutto nuovo. E sapeva che questo era molto di più che possedere il mondo intero. Così il suo cuore era ricolmo di una grande gioia e cantando camminava attraversando i boschi dell’Umbria. Ma d’improvviso, vicino a Gubbio, dalla boscaglia balzano due briganti pronti ad assalirlo; e stupiti dal suo aspetto così curioso gli chiedono: “E tu chi sei?”. E lui risponde: “Sono l’araldo del gran re”. Francesco d’Assisi non era un sacerdote, bensì rimase tutta la vita diacono; ma quello che disse in quel momento è parimenti una descrizione profonda di cosa sia e debba essere un sacerdote: è l’araldo del gran re, di Dio, è annunciatore e predicatore della signoria di Dio che si deve estendere nel cuore dei singoli uomini e in tutto il mondo.

Joseph Ratzinger, Il sacerdote: un uomo che benedice, Kirchanschöring, 1955 in Opera Omnia. Volume XII Annunciatori della parola e servitori della vostra gioia, LEV, Città del Vaticano, 2013.
pdf  Osservatore. L’omaggio di Ratzinger alla povertà di S. Francesco


San Pietro in Vigneto